Miss Wong

Miss Wong è un bar dove gustare buoni cocktail in un ambiente curato e perfetta atmosfera in Siem Reap, per scappare dalla assordante movida di strada. Me lo consigliò un amico e io ve lo consiglio. Questo non è però un post sul bar in sè ma sulla  musa ispiratrice del luogo Miss Wong. Il suo quadro è appeso sul bar, Miss Wong è la protagonista, metà francese e metà cinese, del quadro dell’artista Tretchikoff. Una matrona o una meretrice ipotizziamo con i miei amici prima di leggere la storia del quadro. Un quadro ammaliante, il suo sguardo mi rimane impresso così come deve aver impresso l’artista che incontrando la donna per le strade di Cape Town in Sud Africa le chiese di posare per lui. Il quadro è uno dei pezzi più venduti del XX secolo ed è conosciuto come la ragazza cinese o la donna verde.

Miss Wong, Cocktail Bar in Siem Reap

Miss Wong, Cocktail Bar in Siem Reap

Lascio Siem Reap e oltre ai templi millenari mi lascio alle spalle Miss Wong. Dopo 13 ore di autobus e 2 di traghetto arriviamo in un isola a sud della Cambogia. Su di un amaca continuo la lettura del mio primo libro cinese ispirato al classico della letteratura cinese “Il sogno della camera rossa” , e chi vi incontro tra le pagine??? Miss Wong!!!! un’altra Miss Wong non meno ammaliante  della prima anche se di un’altra epoca. La Miss Wong del sogno della camera rossa è una matrona, a capo di una ricca famiglia cinese con uno stuolo di concubine e servitù, ragazze di corte e molti intrighi di palazzo da gestire. Ora io me la immagino con il viso della Miss Wong del quadro. Coincidenze in un viaggio verso la scoperta del mondo femminile da questa parte del globo.

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C’era una volta un militare annoiato…..

C’era una volta un militare annoiato in cerca di amore. Un giorno vide lei, bella e sorridente. Decise di stuprarla, ti strapparle abiti e verginità in pochi secondi, di violare il suo corpo la sua volontà la sua dignità le sue sicurezze. IMG_1971L’alto commando del suo esercito decise per una punizione esemplare- a dispetto delle usanze dell’esercito oppositore che stupra le donne dell’altra etnia e lascia questi crimini impuniti-e lo condannò a morte (bene direte voi, ma abbiate pazienza).

La vittima e la madre andarono alla corte marziale per chiedere il suo perdono e alla fine, dulcis in fundo, non solo il militare annoiato si salvò ma coronò il suo sogno di amore e violenza sposando la sua vittima.

Ogni riferimento a persone, fatti, gruppi etnici è puramente casuale. Ogni strumentalizzazione nella narrazione nazionalistica della violenza sessuale è invece voluta. Vi saluto con rammarico e la rabbia per corpi delle donne usati per più fini e dignità violate, per l’impunità, da entrambe le parti del conflitto.

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Trapped in “the field”

IMG_4666 Among my 7 resolutions for 2015 there is one about writing blog posts more regularly. I did not promise myself to do it in english, for three main reasons: 1. I write and speak my (it)english all day; 2. most of the blog followers-if not all- are italian; 3. writing is a therapy for me and I do not feel I can fully express the random complexity of my thoughts and feelings in english. No matter what, here we are…..

Why do we humanitarians use the word “the field”? As I stop and think about it I use this word really often. “I am going back to the field”, “my colleagues are going to a field visit”. In the humanitarian gergo the field is where you implement your activities, where you reach your beneficiaries, most of the time remote or insicure areas, IDP or refugee camps, border areas or just towns in area of conflict or hit by a natural disaster. Field recalls many things: a battlefield, a field where a peasant work. It is not the best word tough for describing what we do, we work with humans we do not go to the field- in the far far bush- but we do go to visit beneficiaries in project areas. We go to listen, assess, bring help, witness, advocate. Sometimes field is used to express the bush, a duty station with really terrible conditions but in the most of cases we have a concrete wall around us a desk and water, a basic but decent life. Indiana Jones or Bear are tv stars not humanitarian workers.

I think I will continue to use the word “field” because I am used to but I wonder, do we humanitarians get lost and trapped in our gergo? Yes we do, we should remember to stay human.

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Conflitti invisibili

Ci sono conflitti dimenticati, di cui si è sentito una volta  il titolo durante un Tg o si è letto un trafiletto in settantesima pagina per poi sparire nel dimenticatoio; conflitti che purtroppo vediamo continuamente e da cui ci sentiamo minacciati e poi ci sono una serie di conflitti invisibili. Quelli di cui probabilmente non sentiremo mai parlare, chissà perchè poi, perchè troppo lontani o a bassa intensità, eppure migliaia di persone da tre anni sono costrette a lasciare i loro villaggi e rifugiarsi nei cortili delle chiese o dei monasteri. Un popolo che parla una lingua diversa, ha una religione diversa- cristiana- chiede più autonomia ma ha la maledizione di essere in una terra ricchissima di verde, di acqua, di giada e di oro. Crocevia tra la Cina e l’India e schiacciato tra gli interessi di tutti i vicini e l’indifferenza dei lontani, il Kachin nel profondo nord del Myanmar. Bello e difficile da capire, complesso, diffidente, lento, verde con gli alberi più imponenti che io abbia mai visto (i Baobab africani sono bonsai a confronto) eppure  intensamente invisibile.

Bambina in un campo rifugiati con vestito tradizionale Jimphaw

Bambina in un campo rifugiati con vestito tradizionale Jimphaw

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Il rumore del sole

E’ un gennaio mite un nuovo anno a casa a raccogliere pezzi di relazioni, a recuperare il tempo perso, a riposarmi a cercarmi. Iniziò tutto con una telefonata mentre eravamo in bici al parco, sullo sfondo un affanno crescente, non il mio.
Ero troppo presa a cercare me stessa, ad ascoltare emozioni e sensazioni del ritorno a casa, a rientrare nella vita della gente a cercare di condividere l’esperienza gerosolimitana per sentire quel rumore. Il rumore del suo affanno, il rumore del sole che sarebbe andato via per lasciare spazio alla pioggia.
Il sole è tornato, lui ancora no, lo aspettiamo e il tempo si è fermato a gennaio.

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Seguimi

Seguimi

Dopo il giorno che mi segui’ rimase un sapore dolce-amore. Era questa estate, era un bell’attimo in cui ho goduto della dolcezza della sua presenza, in cui l’ho portato nei miei luoghi nella mia quotidianeita’ . Dentro una macchina a noleggio con occhiali da sole guida e cappello a ridere a ridere molto e poi a parlare di pregiudizi, del conflitto e del nostro futuro non chiaro, degli affetti del concetto di casa, del coraggio di partire o rimanere. “Perche’ non scrivi mai di me?” mi ha chiesto ieri, forse perche’ e’ troppo amaro scrivere di una lontananza. Seguimi non nei luoghi ma nelle mie avventure….

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Terra di nobiltà, olive, spine. Terra di popoli

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Ci sono luoghi che trasudano storia ( e un’italiana li riconosce facilmente).  Luoghi nei quali camminando immersa in una natura variegata e profumata senti sotto di te una terra cosi ricca, che in una mattinata di Settembre potrebbe raccontarti storie di sangue e di amori dei popoli che qui sono passati (e passano) per contendersi questa ricchezza della natura. Potrebbe raccontarti la storia di una moschea abbandonata, di resti romani e bizantini in una spianata di olivi. Potrebbe raccontarti le avventure, dal sapore medioevale di Ibn Samah, lo sceicco che in cima al piccolo villaggio di Ras Karkar edificò un castello nel XVIII secolo, residenza e centro di potere feudale nel sistema ottomano. Il castello, recentemente ristrutturato grazie a un progetto tedesco, è una grande costruzione di tre piani, con numerose stanze dal frantoio, alle stanze della servitù, a quell private dello sceicco che si riservò un grande hammam. Lo sceicco fu ucciso in una contesa tra famiglie rivali. Un discendente del nostro epico personaggio conserva la chiave del castello, come trovarlo? basta chiedere e chiunque salirà nella tua macchina e ti porterà da lui, pura gentilezza. 

Dopo una visita al castello con la guida speciale e gratuita del discendente, seguendo le indicazioni della guida Walking in Palestine, è possibile intraprendere un trekking di 2 ore e mezzo. Il percorso non è segnato potreste impiegarne 3 ma perdersi non è la fine del mondo tra olivi, spine melograni, rosmarino, limoni  piante aromatiche e fonti di acqua . Dal villaggio si scende verso la vallata il wadi Ain al Joz e poi si risale, con piccoli tratti di arrampicata fino al promontorio Nabi Annir. L’impronta antropogenica è forte, la vallata è piena di antichi terrazzamenti ma di umani pochi se ne incontrano, a parte qualche contadino sul somaro o negli orti. Noi siamo sicuri di aver incontrato lo stesso contadino sul somaro che è in una foto della guida (che sia una comparsa?). La scena era idilliaca se non fosse stato per la musica araba da matrimonio che da potenti speaker si propagava dal villaggio per tutta la vallata. 

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Un salto tra i Drusi del Golan

Il Ramadan è giunto al termine, per chiudere questo mese si celebra l’eid ossia un giorno di festa nazionale. Per i musulmani Eid è un giorno in cui si visitano tutti i parenti, le donne in genere rimangono in casa ad accogliere gli ospiti e uomini e bambini vanno nelle case a portare auguri e omaggi. Per chi non è intrappolato nel rito tradizionale e famigliare Eid significa ponte e vacanza.

Per me questo eid è significato Golan, la parte settentrionale e montuosa del Paese al confine con la Siria.  In realtà geograficamente ed etnicamente il Golan è Siria, nella guerra del 1967 gli Israeliani occuparono queste meravigliose vette innevate di inverno e piene di frutta d’estate per non lasciarle più. Le montagne sono abitate da una minoranza etnico religiosa musulmana  i drusi.

I drusi sono nati più di mille anni fa come movimento riformista all’interno dell’Islam, sono quasi un milione il 50% dei quali vive in Siria, il 30-40% in Libano, il 6-7% in Israele, 1-2% in Giordania oltre a piccole comunità in diaspora in Canada e negli Stati Uniti.  Il loro credo è molto mistico ed esoterico, questo è uno dei motivi per cui si sa poco di questa setta. La società è duale, ci sono coloro che si dedicano allo studio della religione e dei loro libri sacri, che vestono in modo tradizionale e hanno una vita dedita e il resto della società. Tra montagne verdi, cascate, corsi d’acqua laghetti artificiali meleti e frutteti siamo capitati in un posto molto tranquillo (chiamato Bambook) con spartani cottage di legno, cavalli e galline ovunque in una atmosfera un pò gipsy e un pò surreale nei dintorni del villaggio di Majd as- Shams. La sorpresa vera è arrivata la sera quando quel luogo ameno si è riempito di giovani dei villaggi drusi circostanti per un party a suon di musica tecno. Ragazzi e ragazze alla moda, con dei lineamenti bellissimi e lunghe ciglia, tatuaggi tagli dei capelli all’ultimo grido, molto disinibiti e sicuri di se a ballare in un party sul lago fino a notte inoltrata bevendo litri di alcool. Tutto quello che non ti aspetteresti da una minoranza musulmana di montagna. Niente veli nè rigide separazioni uomo donna degli spazi pubblici. Sono riuscita anche ad avere una conversazione con un minimo di senso in questo strano party: ” Cosa ti senti?A quale comunità o paese appartieni?”. La risposta è stata diretta senza esitazioni “Sono druso. I Palestinesi sono i nostri vicini, gli israeliani sono la forza occupante e i turisti con cui fare buoni affari”. “Non ti senti siriano?” .”Forse siriano si forse. In passato con i parenti dall’altra parte della vallata in Siria comunicavamo urlando, ora con la tecnologia non c’è più bisogno. Lo sai che la notte si sentono le bombe su Damasco? è vicinissima 50 kilometri peccato ci sia musica troppo alta”. Peccato.

BamBook very basic resort, very good food and view

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Il mio Ramadan, diario di un tentativo

Alle tre del mattino nel silenzio del buio e nel profondo del sonno i musharati puntuali iniziano il loro cammino per le strade portando un messaggio a suon di tamburo  “alzatevi per il suhur, il Ramadan è venuto a visitarvi”. E’ ora di alzarsi per il suhur, il pasto prima che sorga il sole, durante il Ramadan di giorno infatti si digiuna (completamente). Per capirne di più su questo periodo di festa per i musulmani vi lascio leggere questo articolo di Internazionale, e il mio diario di un tentativo di digiuno.

Sabato 14  Luglio 2013

ore 3.00. Mi sveglio un pò per il canto dalle strade, un pò per la tensione del viaggio del giorno dopo. Casualmente, è l’opportunità che forse un pò cercavo per fare la mia vera esperienza di Ramadan. Mi alzo e vado in cucina, indugio davanti al frigo, sono le tre non ho fame, niente mi ispira  ma davanti a me si prospettano 17 ore di digiuno. Se è stato istituito il suhur vuol dire che è funzionale alla sopravvivenza e va fatto. Mi sono convinta e mi sono preparata due piccoli panini, e  bevuto abbondantemente del succo di frutta. Il digiuno non è solo dal cibo, ma anche dalle bevande ed essendo estate è l’aspetto più duro. Mi rimetto a letto per un altro paio di ore di sonno.

ore 6. Sveglia e niente caffè mi preparo per uscire e per il viaggio verso la mia field visit.

ore 13. Sto bene non ho fame, il fatto che sia molto occupata con il lavoro, che non ci sia nè traccia nè odore di cibo negli ambienti e che nessuno mangi o beva aiuta molto.

ore 16. Finisco in ufficio e vado in albergo, mi offrono un cocktail di benvenuto, sono assetatissima ma resisto. In camera c’è un cesto di frutta, decido di non avvicinarmi e non togliere la pellicola trasparente, sistemo le mie cose. In un impeto di “ma chi me lo fa fare” rimuovo la pellicola prendo in mano una prugna e penso di leccarla. La ripongo, questo è un chiaro segnale del vicino limite.

ore 17.Ho solo sete, ma molta sete. Il viaggio è stato lungo e il lavoro intenso decido che dormire, è una buona soluzione per attendere le 8 il momento della rottura del digiuno.

ore 19. Mi sveglio rinvigorita, sto molto meglio e la sete si è placata. Inizia l’eccitazione pre iftar, il pasto della rottura del digiuno, fissato per le 8 il tramonto.

ore 20. Arrivo al ristorante a dieci minuti alle otto con un lieve ritardo, la mia collega e la sua famiglia sono già lì ad aspettarmi, tutti sono già seduti il ristorante è pieno e ognuno ha la sua portata davanti per lo scoccare dell’ora. Gli usi e le tradizioni sono spesso molto saggi, il digiuno si rompe mangiano un solo dattero e poi si apre la cena con una zuppa. Lo stomaco è vuoto e il nostro corpo ha bisogno di liquidi. Decido per una deliziosa zuppa di cipolle. La cena è a buffet, in un tavolo infinito ci si riempe il piatto con antipasti e insalate, la tavola è coloratissima di sottoaceti fatti in casa, le tradizionali creme arabe dall’ hummus al baba ghanush e le saporite insalate come il fattoush, e poi i fritti, gli involtini di vite ripieni di riso. Mi riempo il piatto e lo stomaco. Si passa poi al piatto principale, diversi secondi di carne da accompagnare con riso e mandorle. Come finiamo di mangiare arriva a tavola il caffè e il piatto dei dolci. Il dolce tipico che si trova solo in questo perioso è l’Attayha un pancake fritto ripieno di mandorle e noci o di formaggio . L’odore di caffè è cosi buono che decido di rompere la mia regola dell’ultimo caffè alle 3. Poi fumiamo del narghilè, è un momento di festa sono tutti contenti e rilassati, e lo sono anche io.

ore 01 Ancora non dormo, e pensare che tra due ore si devono svegliare per la colazione, loro. Per me è stato un bel tentativo magari da riprovare, ma domani mi aspetta una riunione e mi servono energie, servono a tutti in effetti. Ma la fede può aiutarti a motivarti o semplicemente loro sono dei supereroi.

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My Wild Wild Jordan: Dana Natural Reserve

Tre ragazze per tre giorni in tre posti diversi all’interno della riserva naturale Dana, non so quanto c’entri l’esoterismo in tutto ciò ma la combinazione dei tre elementi è stata perfetta. La Giordania non è solo Petra, la sua natura i suoi paesaggi sono da scoprire e  lasciano senza parole.

La riserva naturale Dana è la più estesa nel Paese, si trova nel bel mezzo della rift valley e raccoglie quattro diversi ecosistemi: Mediterraneo, iraniano, sahariano e sudanese. In altre parole si passa da dune di sabbia ad altipiani rocciosi, da montagne brulle alle acacie fino alla macchia mediterranea con cespugli verdi di rosmarino e alberi di rosso melograno. I tramonti visti in questi giorni mi hanno riportata indietro nel tempo e nello spazio, quando da un altro angolo della Rift Valley, quello inferiore della Tanzania, vedevo gli stessi colori caldi accendersi e spegnersi lentamente.

Vi consiglio di fare come noi di affidarvi a Wild Jordan ente di promozione di turismo responsabile, che ha organizzato tutto l’itinerario e vi consiglio di scegliere bene la stagione perchè il sole può essere impietoso. Per noi il giro è inziato al Rummana camp, un campeggio attrezzato con candide tende in mezzo alle montagne, per arrivarci la società di gestione del parco organizza il trasporto interno. La location era ideale per lo yoga su di un masso di fronte alla vallata ,proprio all’ora del tramonto. Abbondante buffet per cena e relax in tende beduine per la serata. La natura detta i tempi e tu devi adeguarti  e andare a letto presto per goderti l’alba e iniziare la camminata nel momento migliore ovvio dopo una nuova sessione di yoga. Era la mia prima volta con lo yoga  ed è una disciplina che , al di là ogni aspettativa,  mi si addice , canalizza le mie energie.  Il primo trekking con la guida ci ha portate,  zaino in spalla, fino al villaggio di Dana costeggiando le montagne. Il percorso è breve un paio di ore ma abbastanza accidentato, e sotto di noi a strapiombo la vallata che avremmo attraversato il giorno dopo. Il villaggio di Dana è abitato ora solo da due famiglie, di pazzi, ci dice la guida. Gli altri si sono ri-localizzati più a nord, dove è possibile avere accesso alle strade e ad una serie di servizi. USAid sta investendo molto nell’area ed ha iniziato un progetto di ristrutturazione del vecchio villaggio. Noi abbiamo soggiornato nella Dana Guesthouse, nella parte più alta del villaggio, comoda sistemazione, con il migliore cibo dei tre giorni e vista mozzafiato. Nel villaggio è possibile visitare dei laboratori di artigianato, di sapone e gioielli e acquistare i prodotti locali, confetture thè ed erbe medicinali.

Il terzo giorno affrontiamo la vallata, da sole, 15 kilometri di percorso con l’obiettivo di raggiungere una vera e propria oasi nel deserto il Feynan eco-lodge.  Il primo eco-lodge in Giordania è stato costruito seguendo criteri di sostenibilità sia ambientale che sociale, infatti la struttura si alimenta grazie a pannelli solari e l’uso di energia è minimizzato, di sera un tappeto di candele aiuta ad illuminare gli spazi. Lusso selvaggio in tutti i sensi, è un posto romantico in realtà c’erano tutte coppie, e la serata termina sui divani sul tetto a guardare le stelle cadenti e ad esprimere desideri. Gli impiegati nel lodge vengono dalla comunità beduina, che vive in questo luogo. C’è troppo da raccontare e le immagini, in questo caso, spero rendano  più delle parole.

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